Introduzione Generativa

Paulo Freire e la ricerca inquieta

Freire, P. (2004), La pedagogia degli oppressi, Torino: EGA

30 08 2023

«… sono stato alfabetizzato nel cortile di casa mia, all’ombra degli alberi di mango, con le parole del mio mondo, e non con quelle del mondo dei miei genitori; la mia lavagna la terra del cortile e i ramoscelli, il mio gesso». (P. Freire, 1982, p. 16). I ricordi di Recife, città del nord est brasiliano, dove Freire trascorre un’infanzia povera ma felice, ci appaiono come il primo segno di un interesse verso un metodo che applicherà anni dopo, come “pedagogo degli oppressi”. 

I suoi genitori, Joaquim Temístocles Freire, capitano della polizia militare del Pernambuco e Edeltrudes Neves Freire, detta Dona Todinha, hanno cresciuto i quattro figli secondo i principi ispirati da due diverse professioni (spiritualista e cattolica) e li hanno introdotti ai segreti della lettura, utilizzando strumenti semplici e metodi incoraggianti, senza che atteggiamenti autoritari e coercitivi avvilissero l’ingresso nel mondo della cultura dei grandi. Di questo inizio, Freire sembra conservare sempre una sorta di quieta fermezza, che lo renderà personaggio scomodo nel suo paese e non solo. 

L’Introduzione Generariva è a cura di

Alessandra Anichini 

Letterata di formazione, si occupa di testualità digitale dal 1994. 

Grazie al lavoro per Indire, ha approfondito il rapporto tra produzione libraria e nuove testualità, portando avanti un interesse di ricerca che tenta di conciliare l’attenzione all’innovazione digitale con la storia, privilegiando una prospettiva culturale che tenga conto della formazione.

Gli anni dell’adolescenza, senza il padre prematuramente scomparso e con le difficoltà economiche crescenti della famiglia (come di molta parte del paese), radicano in lui l’interesse profondo verso i temi sociali. Freire si laurea in legge, ma non vuole essere un avvocato al soldo di tutti. Esercita così, da subito, la professione di avvocato del popolo, maturando la convinzione che un’alfabetizzazione “critica” possa rappresentare il primo vero concreto strumento di auto-difesa per gli ultimi. La prima moglie, Elza Maria Costa de Oliveira, del resto, è un’insegnante e condividerà sempre con lui la fiducia verso il potere liberatorio dell’apprendimento. 

La cultura di Freire non è solo pedagogica o filosofica, è, da subito, politica, e i tre ambiti risultano meravigliosamente connessi nelle sue riflessioni come nella sua pratica. Pensiero e azione procedono di pari passo, “Scientia” e “Usus” combinati ad arte, in una vicenda esistenziale d’impegno e di testimonianza. «Le affermazioni che facciamo in questo saggio non sono frutto di fantasticherie intellettualoidi e neppure costituiscono semplicemente il frutto di letture, anche se importanti. Sono sempre ancorate […] a situazioni concrete», scrive lo stesso Freire nelle prime pagine del volume (p. 22).

Proprio grazie alla sua intensa attività di formatore, così come anche di coordinatore di progetti di educazione degli adulti (all’interno del Movimento della Cultura Popolare – MCP e poi ad Angicos, nello stato di Rio Grande do Norte, dove assieme al sindaco Djalma Maranhão dà avvio alla campagna “De Pé no Chão Também se Aprende a Ler”), Freire mette a punto il metodo che gli consentirà di alfabetizzare, dal gennaio al marzo 1963, 300 lavoratori della canna da zucchero. Il risultato ottenuto spinge il Ministro dell’Educazione Paulo de Tarso Santos, del governo Goulart, ad offrire a Freire l’incarico di estendere l’azione educativa a tutto il territorio brasiliano, dirigendo il Programma Nazionale di Alfabetizzazione. Il golpe militare del 1964 blocca, purtroppo, l’iniziativa e costringe Freire a molti anni di esilio. Farà ritorno in Brasile solo nel 1980, dopo che, l’anno precedente, il presidente João Figueiredo ha concesso l’amnistia per i reati politici. 

Nella permanenza in Bolivia, in Cile e poi in Africa e in Europa, Freire scrive alcune importanti opere, tra di esse la sua più nota, La pedagogia degli oppressi, un libro, come lo definisce lo stesso autore «dedicato a coloro che sono capaci di posizioni radicali» perché «solo questi uomini, siano essi cristiani o marxisti, anche se dissentono dalle nostre posizioni, in parte o totalmente, riusciranno a leggere questo testo sino alla fine»A Freire preme da subito marcare la distinzione tra posizioni “settarie” e “radicali”: mentre il settarismo è irrazionale e tende a falsificare la realtà, la radicalizzazione «è sempre creatrice, perché si nutre di criticismo e […] facendo leva sulle radici delle scelte che gli uomini hanno iniziato, li impegna nello sforzo di trasformare la realtà concreta». 

La pedagogia degli oppressi porta una data importante: viene ultimato nel 1968, un anno che rappresenta una sorta di spartiacque storico per molti paesi dell’Occidente. Dovrà attendere, tuttavia, la pubblicazione fino al 1970, in lingua inglese per i tipi di Herder & Herder (New York). Nel 1971 uscirà in Italia per Mondadori e solo nel 1975 vedrà la luce in lingua originale in Brasile. 

Ambito di Intervento

Cultura e Società

Le diversità dei saperi e delle pratiche per costruire una conoscenza condivisa.
Se vogliamo che la complessità sia un valore e non una fonte di crescenti problemi, è necessario elaborare una visione e delle pratiche che ridefiniscano il rapporto fra scientia usus. Per una società che abbandoni la cultura e le relative pratiche meccanicistiche e neotayloristiche

Le riflessioni sostenute in questo libro “scomodo” sono ben radicate in uno spazio e in un tempo che è quello delle rivoluzioni sociali e culturali, che interessano in quegli anni diversi paesi del mondo; sono, inoltre, il frutto dell’esperienza di un esule da un’America Latina segnata da forti conflitti politici e sociali, da disuguaglianze e contraddizioni.  E allora, perché leggere oggi questa opera così marcata da un preciso clima culturale? Politica, anche nel senso più limitante del termine? 

A me, e a chi come me, si occupa di formazione queste pagine servono ancora molto per ribadire alcuni concetti che non possono essere dimenticati.

  • Primo tra tutti, il valore della formazione. In anni di messa in discussione della scuola e della sua funzione di ascensore sociale, le pagine di Freire ridanno senso ad una fiducia che gli educatori troppo spesso sembrano aver smarrito. Il modello educativo è specchio e causa di un modello di cittadinanza, come diremmo oggi. L’educazione, la scuola, come istituzione, deve servire soprattutto a “liberare” i soggetti dal peso delle gerarchie sociali come da tutto ciò che di oppressivo è espresso da una società che impone comportamenti, modelli e li replica attraverso le istituzioni culturali (“manipola”, come direbbe semplicemente Freire). L’educazione deve proporsi non come matrice di conservazione, quanto piuttosto come forza generatrice, potente strumento di cambiamento sociale, di trasformazione più generale di una realtà che è l’oggetto primo dell’interesse di chi apprende e l’obiettivo finale di ogni azione educativa. Per essere forza generatrice, l’educazione deve prima di tutto avere come obiettivo la libertà dei discenti. Una libertà che spesso fa paura a loro stessi e viene rifuggita, una “libertà che è una conquista e non un’elargizione” ed “esige una ricerca permanente”. 
  • Il tema della ricerca è così il secondo punto degno di attenzione. «Il sapere esiste solo nell’invenzione, nella re-invenzione, nella ricerca inquieta, impaziente, che gli uomini fanno nel mondo col mondo e con gli altri» (p. 58). Educazione è ricerca, “ricerca inquieta” e critica, che non si appaga di risultati provvisori, di facili procedure da applicare e riproporre sempre uguali a se stesse. E’ scavo continuo e infaticabile e prevede sempre lo scambio tra due interlocutori, chi insegna e chi apprende, collocati nello stesso spazio di dialogo.
  • La ricerca è dialogo, tra due interlocutori, certo. Ma un dialogo “su”, che pone al centro un elemento terzo, il mondo, come origine della conversazione, come oggetto di attenzione costante e come obiettivo di un cambiamento possibile. Per questa centralità del mondo, il dialogo educativo è fatto di parole autentiche, che hanno a che fare, cioè, con una realtà conosciuta nel profondo. Questo fondamentale elemento del metodo freireniano costituisce uno degli assunti pedagogici basilari: non vi è apprendimento se esso non ha inizio da una realtà che tocca, interessa chi apprende. Un concetto semplice quanto difficile da applicare, in una scuola, la nostra, che conserva tratti “depositari” (“depositaria” è, appunto, per Freire l’educazione che trasforma i discenti in depositi di contenuti trasmessi da altri), nonostante le teorie pedagogiche più avanzate. La “parola autentica” è parola generatrice perché solo da essa potranno essere appresi termini nuovi, in un processo di allargamento progressivo del sapere che offre a chi apprende la possibilità di inserirsi attivamente nei processi trasformativi; per evitare di trovarsi nella condizione di : «[… ] non avere voce, castrati nel loro potere di creare e ricreare, nel loro potere di trasformare il mondo» (p.  34).
  • Nella relazione di ricerca che si stabilisce tra docente, discente e mondo, il docente, o ricercatore o forse meglio l’intellettuale (e la lettura di Gramsci diviene qui evidente) ha un compito preciso. Avvicinandosi a contesti lontani dalla sua esperienza deve avere l’umiltà di capire, deve maturare un’esperienza diretta (osservazione partecipata, diremmo oggi) dotarsi di quella curiosità che nasce naturalmente con l’uomo, ma diventa epistemica via via che si orienta verso progetti comuni e si arricchisce di conoscenza e di tecnica. Curiosità e rispetto guidano sempre l’azione del ricercatore.  

«Nelle loro visite i ricercatori  “puntano” criticamente sull’area di studio che si propone loro, come se fosse una specie di enorme “codificazione” sui generis, viva, che li sta sfidando. Per questo, visualizzando l’area come una totalità, tenteranno, in ogni visita, di realizzarne il “taglio”, nell’analisi delle dimensioni parziali che li colpiscono. In questo sforzo di “tagliare”, con il quale più tardi ritorneranno ad addentrarsi nella totalità, ne allargano la comprensione attraverso l’interazione delle parti».

Questi sono solo alcuni dei nodi concettuali che mi sento di sottolineare, soprattutto in relazione al pensiero pedagogico, ma non solo. La pedagogia di Freire si esprime soprattutto nel secondo capitolo del libro, mentre il terzo e il quarto sembrano più dedicati alle ricadute politiche di una metodologia “liberatrice”.

Il terzo, in particolare, affronta il tema dell’anti-dialogo come strategia di conservazione utilizzata dalle classi dominanti. L’anti-dialogo presuppone alcune azioni caratteristiche della classe dominante: la conquista, ovvero la presa di possesso di cose e persone, la strategia del “divide et impera” (già praticata dai romani e così efficacemente riutilizzata nel corso del tempo); la manipolazione, ovvero la proposta di modelli dominanti che diventano obiettivo per le stesse classi subalterne; l’invasione culturale, attuata attraverso la sistematica distruzione di una cultura popolare autentica e la sostituzione di essa con modelli e valori borghesi. 

Nel quarto capitolo, di contro, Freire esplicita la parte construens del suo pensiero, sistematizzando quanto già espresso nelle pagine precedenti. La collaborazione tra intellettuali e classi subalterne (così come tra docenti e discenti) è il terreno su cui stabilire un’azione incentrata sul tentativo di “unire per liberare”, di “organizzare” e di proporre “sintesi culturali” che non siano l’imposizione della teoria di chi ha riflettuto verso coloro che si sono tenuti a distanza dai contenuti culturali, ma il risultato di un processo di scambio nel quale ognuno apprende, ognuno ha qualcosa da insegnare.

La fortuna di Freire è in crescita. Ed è un bene; ma vorremmo evitare che il suo pensiero fosse ridotto a poche formule, così come accade per molti autori trasformati in “santini” più o meno utili a detrattori e sostenitori. Quella che vorrei sottolineare è un’indicazione di metodo che Freire ci propone oltre l’elencazione dei suoi concetti cardine. Un metodo che si sforza di tenere insieme semplicità e complessità, dimostrando, con suoi scritti, quanto uno studio attento, “critico” della realtà debba essere guidato da assunti semplici, ma supportato da uno scavo e da una capacità di indagine che non si ferma mai ad una prima superficiale lettura. 

È la cifra della ricerca, della sua ricerca, pagata anche con ripercussioni personali importanti, che interessa ancor più oggi e che fa di questo autore, dei suoi scritti, una fonte inesauribile di suggerimenti. Il suo stesso modo di scrivere, che procede come una spirale, senza la paura di ribadire, ma aggiungendo ad ogni passo un elemento nuovo, ci mostra una strada da percorrere, in trasformazione, con obiettivi fermi.