Cultura e Società

A cosa serve un’educazione centrata sul mondo
I punti salienti di un’intervista a Gert Biesta

Di cosa parliamo in questo articolo?

Gert Biesta approfondisce alcuni dei temi presentati nel suo recente volume “Il mondo al centro dell’educazione. Una visione per il presente”, recentemente pubblicato in italiano da Tab Edizioni.

La sua è una riflessione pedagogica e allo stesso tempo politica, in quanto propone un’idea di agire educativo che si pone come fine ultimo l’azione diretta sul mondo. Al di là di una comunicazione formativa centrata sul mero trasferimento di nozioni, e sull’equilibrio tra educazione e apprendimento, l’idea proposta da Biesta è quella di una formazione “esistenziale”, con l’obiettivo di aiutare bambini e ragazzi a stabilire relazioni piene con il mondo, a costruire gli strumenti – esperienziali, conoscitivi, relazionali – per provare a vivere bene “nel” e “con” il mondo.

Ambito di Intervento

Cultura e Società

Il Centro di Ricerche sAu è impegnato da tempo per valorizzare un’idea di conoscenza non egemonica ma come costruzione di un bene comune. Frutto, cioè, di una collaborazione non più rinviabile tra ambiti socio-culturali ed economici fino ad oggi tenuti rigorosamente distinti.

Il titolo del suo libro è piuttosto intrigante. Cosa significa “educazione centrata sul mondo”?

«Il concetto di “educazione centrata sul mondo” vuole essere innanzitutto il contributo a un classico filone di discussione sull’educazione, per sostenere sia un’educazione centrata sulla conoscenza o sul curriculum, sia un’educazione centrata sul bambino o sullo studente. Entrambe le opzioni, che continuano a ripresentarsi nel tempo, sono ovviamente unilaterali. L’educazione centrata sul mondo impone una direzione diversa al nostro pensare e agire educativo, a cominciare dal fatto che come educatori dobbiamo tenere insieme i bambini e il curriculum per prepararli alla loro vita nel e con il mondo (il termine “mondo” comprende sia il mondo naturale, che quello sociale).
C’è poi un secondo livello da tenere presente: oggi molte discussioni nel campo dell’educazione sostengono che questa dovrebbe concentrarsi sull’apprendimento. Il “gesto” dell’apprendimento, tuttavia, implica una direzione che va sempre da chi vuole imparare verso il mondo al di “fuori” da sé. Il rischio è che questo trasformi il mondo in un oggetto del nostro apprendimento, della nostra creazione di senso, della nostra interpretazione, della nostra costruzione di conoscenza e così via. In questa prospettiva, cerco quindi di sostenere che il mondo non è solo un oggetto del nostro apprendimento e per la nostra creazione di senso. Il mondo – naturale, fisico e sociale – è reale e pone limiti a ciò che possiamo desiderare e fare a partire da esso.
Di conseguenza, c’è una questione molto diversa da prendere in considerazione nel campo dell’istruzione, vale a dire cosa il mondo ci chiede, e più specificamente cosa mi chiede il mondo. E questo non implica più il solo gesto dell’imparare, ma anche quello che chiamerei “insegnare”.
Questo è un ulteriore modo di considerare il mondo al centro dell’educazione».

Il libro

Il mondo al centro dell’educazione
Una visione per il presente
biesta

Il volume affronta il tema dello sviluppo armonico della soggettività. Quali sono secondo te i principali errori educativi che la nostra società occidentale commette nei confronti dei nostri ‘figli’?

«In realtà non sostengo uno sviluppo armonico della soggettività, perché quell’idea mette ancora al centro i bambini e il loro sviluppo. Nel libro adotto un approccio esistenziale: non mi concentro su come gli individui si sviluppano o crescono, ma su cosa significa vivere la propria vita nel e con il mondo, tenendo presente che, come esseri umani, siamo esseri indeterminati e dobbiamo fare qualcosa della nostra vita. E ciò che “facciamo” della nostra vita non è completamente nelle nostre mani, ma si sviluppa sempre in dialogo con il mondo naturale, fisico e sociale; un mondo che ci offre opportunità e limiti, sfide e possibilità.

La sfida permanente di esistere come soggetto della propria vita – e non solo come oggetto di tutti i tipi di forze e di tutte le richieste provenienti da un “altrove” – è dove l’educazione ha un lavoro importante da svolgere. Come educatori non possiamo decidere per i nostri studenti come dovrebbero cercare di vivere la propria vita, ma il nostro dovere è quello di dare alle nuove generazioni una “giusta possibilità” di esistere come soggetti della propria vita.
Quando iniziamo a guardare ai tempi attuali da questa prospettiva, possiamo chiederci in che misura le società, i sistemi politici, ma anche le economie che abbiamo e gestiamo stiano fornendo alle nuove generazioni queste opportunità. 

Nel libro sostengo che la nostra contemporanea “società dell’impulso” non è particolarmente interessata a queste questioni: la società vuole che desideriamo sempre di più in modo che le persone comprino di più, e tende a non sollevare seri interrogativi su ciò che è effettivamente desiderabile nella nostra vita individuale e collettiva. L’errore più grande o, meglio, la preoccupazione più grande sta nel riconoscere come nella società contemporanea ci sia poco interesse per la difficile questione della libertà umana e di cosa significhi vivere bene la propria vita. Penso che anche le scuole e le altre istituzioni educative abbiano sempre meno tempo per queste domande. Spingono i giovani a diventare studenti indipendenti, ad esempio, ma già predefiniscono l’apprendimento in termini di risultati e test particolari. In questo senso mi preoccupo anche di come l’istruzione stessa stia diventando – o sia già diventata – anti-educativa».

Quanto è importante per te il coinvolgimento attivo, l’impegno del soggetto nelle azioni di trasformazione della nostra realtà?

«Nel libro cerco di respingere l’idea di un’eccessiva attività e di un’eccessiva trasformazione. In realtà penso che la crisi ecologica sia il risultato di attività eccessive e del tentativo di controllare il pianeta, piuttosto che, ad esempio, cercare di ascoltarlo, di scoprire quali limiti dovrebbero essere rispettati. Di fatto, sto cercando di trovare un migliore equilibrio tra attivo e passivo. Questo è il motivo principale per cui uso la parola “soggetto”, perché “soggetto”, ad esempio in grammatica, non è solo colui che agisce, ma “soggetto” significa anche essere assoggettato. Penso che questo doppio significato colga molto meglio la nostra condizione umana e che la sfida sia quella di trovare un equilibrio tra attività e passività, tra azione e passività».

A chi intendevi rivolgerti scrivendo questo volume?

«A chiunque sia interessato all’educazione. Il mio primo pubblico sono gli educatori: persone che lavorano nella pratica, nella politica educativa e così via. Soprattutto, spero che questo sia il mio primo pubblico, perché, a mio avviso, ci sono così tante tendenze e sviluppi problematici nell’educazione contemporanea da renderla non-educativa o addirittura anti-educativa. Quindi la mia ambizione principale è riuscire ad argomentare su cosa dovrebbe consistere l’educazione.

Ritengo che il libro sia importante anche nell’ambito di discussioni molto più ampie sul rapporto tra istruzione e società e su come la società vede la scuola. La mia preoccupazione, come accennato, è che abbiamo una società che vuole molto dalle scuole, ma ha poca pazienza nel garantire che nelle scuole, nei college e nelle università i bambini e i giovani abbiano eque possibilità di esistere come soggetti, nel mondo e con il mondo. Gli studenti sono solo spinti a ottenere punteggi elevati negli esami, a diventare studenti autodiretti, o diretti verso tendenze educative insignificanti».

Abbiamo recentemente partecipato ad un progetto di ricerca finanziato dal governo italiano su un campione di scuole italiane (ISCED 1 e 2): una delle principali criticità emerse è la mancanza di comunicazione tra insegnanti, genitori e studenti (bambini), che testimonia la mancanza di coesione di questi contesti.  Qual è la tua esperienza a questo riguardo? Che tipo di comunicazione può essere generatrice di innovazioni e soluzioni ai problemi individuati e di coinvolgimento per gli studenti?

«Questa è una domanda piuttosto complessa. Il tema della partecipazione si collega all’educazione centrata sul mondo perché, come accennato, la nozione è intesa come alternativa a due opzioni “alla moda”, una delle quali è l’educazione centrata sul bambino o sullo studente. Esistono forme estreme di questa tendenza, secondo le quali ai bambini e ai giovani non dovrebbe essere detto cosa fare a scuola, ma dovrebbe essere lasciata la totale libertà di porre le proprie domande e perseguire i propri interessi.

Un problema educativo che emerge da questa impostazione è che gli studenti possono avere interessi problematici o domande preoccupanti, e lasciare che gli studenti facciano quello che vogliono corrisponde a una educazione che non apporta niente di utile.
Il compito dell’educatore è quello di domandarsi se ciò che i bambini e i ragazzi vogliono o desiderano sia utile. Se cioè li aiuti o ostacoli nel vivere bene la loro vita, con gli altri, su un pianeta con una capacità limitata di darci tutto ciò che vorremmo ottenere da esso.

Quindi, risponderei alla domanda dicendo che gli studenti meritano di essere interrotti dagli educatori in modo che possano acquisire una prospettiva e un giudizio su ciò che vogliono perseguire o su ciò che desiderano autenticamente.

Progetto

Migrant children’s participation and identity construction in education and healthcare – PRIN

La costruzione dell’archivio online

Il progetto di ricerca propone soluzioni – prodotti per la formazione e l’autovalutazione dei professionisti – per rafforzare la partecipazione dei bambini migranti alle attività didattiche nei sistemi educativi e sanitari (scuola in ospedale), contribuendo ad abbattere le barriere linguistiche, sociali, culturali e comunicative che allontanano docenti, medici e operatori sanitari dagli studenti, dai piccoli pazienti e dalle loro famiglie.

 Il Centro Ricerche sAu ha sviluppato per il progetto un’applicazione del Sistema Integrato Atque per la documentazione e la condivisione dei materiali audio-video della ricerca.

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Ma penso anche che questo sollevi domande sulla funzione della scuola e qui vorrei sottolineare che per me la scuola è un luogo che dovrebbe aprire le porte, cioè focalizzare l’attenzione degli studenti sulle domande che non si pongono – perché non sanno neppure di potersi porre tali domande – o sulle cose che non stavano cercando – perché non sanno che avrebbero potuto cercarle. 

Come educatori – ovviamente – non vogliamo dire agli studenti cosa devono desiderare, fare o pensare, ma dovremmo aiutarli a entrare in relazione con ciò che vogliono o desiderano, affinché non siano schiavi dei loro desideri. 

La partecipazione è un concetto piuttosto complicato nell’ambito dell’educazione e quello che faccio con l’educazione centrata sul mondo è offrire un punto di vista da cui porre domande, per mettere a fuoco quando la partecipazione è educativa e quando, invece, si trasforma nel suo opposto».

Conclusioni

Le parole di Biesta, talvolta provocatorie e controcorrente, propongono un modo di guardare all’educazione che, prendendo le distanze da una prospettiva gerarchica e trasmissiva, da un insegnamento inteso come semplice trasmissione di nozioni, recuperi tuttavia il gesto fondamentale dell’insegnamento, come “indicazione” nei confronti di una realtà esterna che pone dei limiti e chiede soluzioni. L’educazione allora non si limita all’apprendimento, ma assume un ruolo più ampio, esistenziale. Si rivolge al senso stesso della nostra vita nel mondo – a partire da quella dei giovani che frequentano la scuola – e della relazione con la nostra storia, la nostra società, la nostra cultura – affinchè la nostra esperienza assuma quel livello di consapevolezza che – oggi più che mai – sembra mancare.

Autori

Alessandra Anichini

Letterata di formazione, si occupa di testualità digitale dal 1994. Grazie al lavoro per Indire, ha approfondito il rapporto tra produzione libraria e nuove testualità, portando avanti un interesse di ricerca che tenta di conciliare l’attenzione all’innovazione digitale con la storia, privilegiando una prospettiva culturale che tenga conto della formazione.

Eugenio Pandolfini

Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS Consulente presso Lab CfGC Ricercatore a tempo Determinato di tipo A del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze

Intervistato

Gert Biesta

Gert Biesta è professore di Istruzione Pubblica presso il Center for Public Education and Pedagogy della Maynooth University (Irlanda) e professore di Teoria dell’Educazione e Pedagogia presso la Moray House School of Education and Sport, Università di Edimburgo, Regno Unito. 

Recentemente è stato visiting professor presso l’Università di Agder (Norvegia) e Uniarts (Helsinki, Finlandia). Dal 2023 è membro del Consiglio dell’Istruzione dei Paesi Bassi, l’organo consultivo del governo e del parlamento olandese sulle questioni educative.