Introduzione Generativa
Nuove tecnologie che generano innovazione
Piano, R. (2017), La responsabilità dell’architetto. Conversazione con Renzo Cassigoli. Firenze: Passigli Editori
28 11 2023
«Il mestiere dell’architetto è un mestiere di équipe. È vero che ci sono momenti di solitudine, anche perché se si comunicasse troppo si finirebbe per sapere tutto e non capire più niente. […] l’architettura è un miscuglio di ispirazione artistica e di scienza: questo implica che la creatività nel procedere non sia monotonica ma abbia a che fare con la tecnica, con il calcolo, con i materiali, con il processo di costruzione. Quindi fatalmente non sei solo. E non è vero che tu hai l’idea e la passi a un altro che la fa diventare pratica: questo è esattamente l’opposto del senso di artigianato che io do al mio mestiere. […] In un sistema di artigianato vero, nel senso nobile della parola, o in un mestiere d’arte, il processo è circolare, è un continuo vai e vieni tra il livello dell’ideazione e quello della verifica pratica, per cui non è vero che la tecnica, la scienza, il costruire vengono dopo. Essi fanno parte di questo processo circolare: hai un’idea, la verifichi sul piano della fattibilità o pensi a come la costruisci e torni indietro. Il modo corretto di procedere nel fare architettura […] non è quello di cominciare dal generale per scendere poi al particolare: è così ma, nello stesso momento, vale anche la regola opposta, cioè si va dal particolare al generale» (pp. 13-14).
L’Introduzione Generativa è a cura di
Eugenio Pandolfini
Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS.
Dal 2019 è ricercatore a tempo Determinato di tipo A del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze.
Porta avanti attività di ricerca centrate sulla relazione tra tecnologie, territorio e paesaggio, tocco umano.
Con queste parole Renzo Piano argomenta – rispondendo alle domande di Renzo Cassigoli – uno dei nodi concettuali più forti che emergono dalle pagine de La responsabilità dell’architetto: la relazione tra il professionista, il proprio team e il proprio lavoro. A partire da un’idea di ricerca e lavoro “artigianale” molto vicina alle questioni che quotidianamente il Centro Ricerche sAu affronta nei progetti di Comunicazione Generativa in collaborazione con partner e portatori d’interesse che operano attivamente nel progetto.
A parte il rapporto tra etica, impegno sociale e professionalità che caratterizza la professionalità dell’architetto, il dato importante di cui parla Renzo Piano, richiamando la relazione tra il professionista, la sua creatività e gli altri attori che inevitabilmente partecipano ad ogni processo progettuale, è la stretta relazione e il processo non-lineare che lega le fasi di ideazione, progettazione e sviluppo di un oggetto, sia esso un pezzo di design, un’architettura, un brano di paesaggio o un’attività di comunicazione. Un processo che non può partire dal generale per essere imposto e calare dall’alto nell’ambito di riferimento, perché rischierebbe di essere scollegato dal contesto che invece lo deve accogliere. Al tempo stesso, tuttavia, il processo progettuale non può partire esclusivamente dal basso, perché in questo modo risulterebbe strettamente collegato al proprio contesto, ma rischierebbe di non riuscire a fare sistema con altri edifici o, più in generale, con l’intero tessuto urbano. Il sistema di verifica continua («processo circolare») che porta il progettista ad avere un’idea e a verificarla costantemente sul piano concreto, costruendo prototipi, immaginando il futuro, simulando il reificarsi dell’idea stessa – Renzo Piano avvicina questo processo all’idea alta di artigianato – spiega meglio di tanti manuali la logica che dovrebbe essere alla base di ogni progetto, e anticipa un altro tema fondamentale, che deriva direttamente dall’affermazione (sottintesa nel testo ma ben evidente nelle opere di uno degli architetti da sempre più votati alla sperimentazione di soluzioni, tecniche, linguaggi diversissimi tra loro) della assoluta unicità di ogni processo progettuale.
L’artigianalità alla base della professione non deve far pensare, inoltre, ad un’idea di lavoro basata sulla solitudine, orientata alla tradizione, consolidata e chiusa davanti all’innovazione. L’idea di artigianato che Renzo Piano richiama è ben altra, e afferisce alla sperimentazione, alla necessità di uscire dal seminato, di divergere dalla preoccupante tendenza all’omologazione, all’uniformità che caratterizza le nostre periferie, fatte di spazi sempre uguali nei quali trionfa una frammentazione senza alcun progetto. Un’idea di lavoro che mette insieme tantissime professionalità diverse, che arricchiscono il progetto con le proprie competenze, fino ad arrivare alle persone, ai cittadini, coloro che utilizzeranno i risultati concreti del progetto.
«Io uso la gente per fare i progetti, nel senso che cerco di immedesimarmi nella gente», cioè di raccogliere indicazioni su come le persone potrebbero, vorrebbero usare ciò che è ancora in fase di progetto, acquisendo informazioni utili ad evitare di realizzare strutture nelle quali troveranno difficoltà ad orientarsi, che li intimidiranno, che non riusciranno a capire. Con poche, semplici frasi, Renzo Piano restituisce in maniera chiarissima la complessità della professione dell’architetto che – mutatis mutandis – è la complessità insita in tutte le professioni che operano trasformazioni sul piano della realtà: quella di interagire e quindi creare potenziali conflitti con tutti gli elementi che costituiscono i sistemi nei quali le nuove opere – siano esse edifici, oggetti di design, campagne di comunicazione, etc. – prenderanno posto.
Conflitti che, tuttavia, saranno generativi di nuove configurazioni, di nuovi assetti, e restituiranno, nel tempo, contesti di vita e di lavoro più aderenti alle necessità dei cittadini. A patto che l’attività di progettazione abbia raccolto e tradotto in pratica i reali bisogni di uso delle persone che saranno poi potenzialmente interessate a usufruire di quanto progettato.
Il Centro Ricerche sAu da anni porta avanti progetti di ricerca e sperimentazione sulle tecnologie vecchie e nuove, per progettare e realizzare prodotti e servizi che facciano perno sull’intelligenza critica e la creatività umana e favorire uno sviluppo tecnologico che non automatizzi l’uomo ma che, al contrario, lo aiuti a rafforzare la propria autonomia e la propria indipendenza.
L’artigianalità alla base della professione non deve far pensare, inoltre, ad un’idea di lavoro basata sulla solitudine, orientata alla tradizione, consolidata e chiusa davanti all’innovazione. L’idea di artigianato che Renzo Piano richiama è ben altra, e afferisce alla sperimentazione, alla necessità di uscire dal seminato, di divergere dalla preoccupante tendenza all’omologazione, all’uniformità che caratterizza le nostre periferie, fatte di spazi sempre uguali nei quali trionfa una frammentazione senza alcun progetto. Un’idea di lavoro che mette insieme tantissime professionalità diverse, che arricchiscono il progetto con le proprie competenze, fino ad arrivare alle persone, ai cittadini, coloro che utilizzeranno i risultati concreti del progetto.
«Io uso la gente per fare i progetti, nel senso che cerco di immedesimarmi nella gente», cioè di raccogliere indicazioni su come le persone potrebbero, vorrebbero usare ciò che è ancora in fase di progetto, acquisendo informazioni utili ad evitare di realizzare strutture nelle quali troveranno difficoltà ad orientarsi, che li intimidiranno, che non riusciranno a capire. Con poche, semplici frasi, Renzo Piano restituisce in maniera chiarissima la complessità della professione dell’architetto che – mutatis mutandis – è la complessità insita in tutte le professioni che operano trasformazioni sul piano della realtà: quella di
Il Centro Ricerche sAu da anni porta avanti progetti di ricerca e sperimentazione sulle tecnologie vecchie e nuove, per progettare e realizzare prodotti e servizi che facciano perno sull’intelligenza critica e la creatività umana e favorire uno sviluppo tecnologico che non automatizzi l’uomo ma che, al contrario, lo aiuti a rafforzare la propria autonomia e la propria indipendenza.
interagire e quindi creare potenziali conflitti con tutti gli elementi che costituiscono i sistemi nei quali le nuove opere – siano esse edifici, oggetti di design, campagne di comunicazione, etc. – prenderanno posto.
Conflitti che, tuttavia, saranno generativi di nuove configurazioni, di nuovi assetti, e restituiranno, nel tempo, contesti di vita e di lavoro più aderenti alle necessità dei cittadini. A patto che l’attività di progettazione abbia raccolto e tradotto in pratica i reali bisogni di uso delle persone che saranno poi potenzialmente interessate a usufruire di quanto progettato.
La complessità della professione si esprime anche nell’utilizzo degli strumenti. E probabilmente questa è la parte della conversazione riportata nel libro che più di tutte – pur a distanza di anni – non risente assolutamente del tempo passato, data la straordinaria attualità che ancora la proposta di Renzo Piano esprime. E data anche la consolidata tendenza tutta contemporanea a considerare le nuove tecnologie digitali – che ormai permeano ogni aspetto della nostra vita e del nostro lavoro – alla stregua di deus ex machina, potentissimi strumenti, sempre validi e adatti alla risoluzione di qualsiasi problema. Sono pochi i professionisti che oggi la pensano diversamente e che si pongono in maniera veramente originale rispetto agli strumenti che fanno parte del loro lavoro.
«Io penso che l’architetto, prima di tutto, debba disegnarsi i propri strumenti di lavoro, la propria attrezzatura tecnica e disciplinare. Questa è una delle mie più profonde convinzioni. Se non si interviene sugli strumenti e sui processi si rischia di lavorare su dei margini inconsistenti che lasciano spazio solo a operazioni ineffettuabili e nostalgiche. Questa è la mia artigianalità, una sorta di ritorno alle origini oggi reso necessario anche dalla convenzionalità e dalla massificazione dei processi ideativi. L’architetto deve sperimentare.
Il progetto

Il Centro Ricerche sAu sta lavorando allo sviluppo dell’Ambiente Integrato Atque, una suite di strumenti progettati e realizzata avendo come base un’idea di tecnologia che valorizza l’umanità, l’unicità, la creatività delle persone – partner di progetto, portatori d’interesse – coinvolte nei progetti di Comunicazione Generativa dai ricercatori e dalle ricercatrici del Centro Ricerche sAu.
Nell’antichità progettare voleva dire anche inventare le macchine necessarie per realizzare l’opera. Brunelleschi aveva studiato il meccanismo dell’orologio per applicarlo ad un sistema di grandi contrappesi necessari per sollevare le carpenterie per la Cupola» (p. 40).
L’architetto, il progettista, il comunicatore devono costruire prima di tutto un’architettura disciplinare che orienti la propria professione verso alcuni valori, piuttosto che altri. Una meta-architettura che risponda a tali valori. Che orienti la sperimentazione e la plasmi in maniera coerente alla politica alla base delle proprie scelte progettuali. E ai bisogni delle persone, delle comunità che probabilmente useranno il progetto, il servizio, il prodotto. E il fatto che l’architetto – sia che si occupi di edifici che di testi, di oggetti di design o di progetto di comunicazione – debba inventarsi le proprie macchine, funzionali alla realizzazione di un’opera, non è poi un’idea così nuova, perché da sempre i grandi architetti, i grandi ingegneri, i grandi comunicatori hanno lavorato sperimentando in tutte le fasi del progetto: dall’ideazione alla messa su carta dei primi schizzi – spesso inventando nuove tecniche di rappresentazione, dallo sviluppo del progetto alla messa in cantiere, ideando – come il Brunelleschi che cita Renzo Piano – le macchine per costruire opere che prima non esistevano, e non erano nemmeno concepibili.
Come progettare, come costruire quello che non c’è ancora senza ridefinire ogni volta gli strumenti dell’ideazione e della progettazione?
Non abbiamo bisogno di una tecnologia uniforme, ma di una che sia espressione di trasformazione; che deve poter essere plasmata secondo gli obiettivi unici che il progettista si pone e che sono specifici per ogni contesto su cui opera.

- Toschi, L. (2011), La comunicazione generativa, Milano, Apogeo
- Communication Strategies Lab (2012), Realtà aumentate, Milano Apogeo
- Pandolfini, E. (2019), Il paesaggio nascosto. Quale comunicazione per i luoghi della complessità, Firenze, Olschki
Una Noterella su “Agricoltura e sviluppo del territorio”
Dove sono le politiche del cibo?
di Gianluca Brunori | 10 01 2024
Da diversi anni si rileva una crescente attenzione nei confronti del cibo. D’altra parte, tutti abbiamo a che fare con il cibo più di una volta al giorno. Esso è un fattore essenziale della nostra salute, è un fattore di benessere psicofisico, è un medium di socialità. Il cibo è elemento fondamentale della nostra economia. Allo stesso tempo, è anche uno dei più importanti contributori alle emissioni di gas serra (oltre il 30%), responsabile della perdita di biodiversità, del degrado dei suoli, dell’esaurimento delle risorse idriche.
Il cibo è, dunque, un componente imprescindibile della nostra vita, ed è compito di ogni comunità organizzare attività e infrastrutture necessarie a garantire che tutti possano nutrirsi in modo adeguato ad un costo ragionevole. I livelli di benessere, di salute, di rispetto dell’ambiente, di socialità che il cibo può garantire dipendono, infatti, dal modo con cui le attività legate alla produzione, diffusione e utilizzo del cibo sono organizzate e gestite.
Agricoltura e sviluppo del territorio
Questa noterella contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore e sulla sua applicazione pratica in tutti i settori socio-economici, culturali e politici. L’idea è che questo concetto debba essere ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.
Non ci vuole molto a capire che in società come la nostra le attività legate al cibo potrebbero essere organizzate molto meglio, ottenendo migliori risultati con minori risorse. La consapevolezza della necessità di modificare abitudini e sistemi produttivi è cresciuta e negli ultimi venti anni è cambiato il sentire generale nei confronti del cibo. L’agricoltura biologica e le produzioni tipiche sono aumentate con una spinta che è partita dal basso e ha trovato. poi, il modo per ottenere un riconoscimento a livello istituzionale; reti di cittadini si sono organizzati per distribuire prodotti di qualità fuori dei circuiti convenzionali, raggiungendo anche i gruppi sociali più svantaggiati; organizzazioni della società civile hanno mostrato, attraverso le loro iniziative, i livelli di spreco generati dall’attuale sistema e le azioni necessarie per ridurlo; a livello individuale, l’attenzione per la dieta investe le dimensioni della salute tanto quanto quelle dell’etica.
Anche le amministrazioni locali hanno scoperto di avere a disposizione importanti leve per il cambiamento: le politiche del commercio, le politiche sociali, l’educazione alimentare, la pianificazione urbana. Inoltre, hanno scoperto che le mense scolastiche, da loro gestite, possono essere uno strumento strategico per orientare le attività di consumo, distribuzione e produzione, e per trasformare le nuove generazioni in consumatori consapevoli. È questo il compito delle politiche alimentari, che affrontano le diverse dimensioni del cibo identificando obiettivi, regole, risorse per l’organizzazione dei sistemi alimentari. Queste politiche risultano tuttavia frammentate e collocate all’interno di diversi settori istituzionali: in gran parte in quello dell’agricoltura, ma anche nelle politiche ambientali, nel settore del commercio e della salute.
CibiAmo la Toscana
CibiAmo la Toscana è un progetto vincitore di un bando del PSR della Toscana in partenza a inizio 2024. Il partenariato è composto da ANCI Toscana, Associazione Nazionale Città dell’Olio e Qualità&Servizi. Il Centro Ricerche sAu, insieme all’Accademia dei Georgofili, partecipa al Comitato Scientifico del progetto.
Non ci vuole molto a capire che in società come la nostra le attività legate al cibo potrebbero essere organizzate molto meglio, ottenendo migliori risultati con minori risorse. La consapevolezza della necessità di modificare abitudini e sistemi produttivi è cresciuta e negli ultimi venti anni è cambiato il sentire generale nei confronti del cibo. L’agricoltura biologica e le produzioni tipiche sono aumentate con una spinta che è partita dal basso e ha trovato. poi, il modo per ottenere un riconoscimento a livello istituzionale; reti di cittadini si sono organizzati per distribuire prodotti di qualità fuori dei circuiti convenzionali, raggiungendo anche i gruppi sociali più svantaggiati; organizzazioni della società civile hanno mostrato,
attraverso le loro iniziative, i livelli di spreco generati dall’attuale sistema e le azioni necessarie per ridurlo; a livello individuale, l’attenzione per la dieta investe le dimensioni della salute tanto quanto quelle dell’etica.
Anche le amministrazioni locali hanno scoperto di avere a disposizione importanti leve per il cambiamento: le politiche del commercio, le politiche sociali, l’educazione alimentare, la pianificazione urbana. Inoltre, hanno scoperto che le mense scolastiche, da loro gestite, possono essere uno strumento strategico per orientare le attività di consumo, distribuzione e produzione, e per trasformare le nuove generazioni in consumatori consapevoli. È questo il compito delle politiche alimentari, che affrontano le diverse dimensioni del cibo identificando obiettivi, regole, risorse per l’organizzazione dei sistemi alimentari. Queste politiche risultano tuttavia frammentate e collocate all’interno di diversi settori istituzionali: in gran parte in quello dell’agricoltura, ma anche nelle politiche ambientali, nel settore del commercio e della salute.
CibiAmo la Toscana
CibiAmo la Toscana è un progetto vincitore di un bando del PSR della Toscana in partenza a inizio 2024. Il partenariato è composto da ANCI Toscana, Associazione Nazionale Città dell’Olio e Qualità&Servizi. Il Centro Ricerche sAu, insieme all’Accademia dei Georgofili, partecipa al Comitato Scientifico del progetto.
Non esiste una ‘Politica Alimentare’ nel panorama istituzionale nazionale ed europeo, e tantomeno esiste un organo, una giurisdizione che analizzi tutti i diversi aspetti in un’ottica di sistema e definisca linee di indirizzo e regole valide per tutti. Questo fa sì che le singole politiche (quelle legate alla produzione, alla distribuzione, allo smaltimento dei rifiuti, ai consumi) non siano coordinate, anzi siano spesso in contraddizione e in conflitto tra loro, con la conseguenza che unico elemento aggregante risulti essere il mercato e, segnatamente, i grandi operatori dell’industria alimentare e della grande distribuzione.
Se la nuova consapevolezza ha fatto maturare l’esigenza di passare dalla gestione ordinaria dell’amministrazione ad una visione strategica, di fronte al gap istituzionale la strada da percorrere nell’immediato è quella di un’innovazione istituzionale dal basso. Le esperienze che hanno trovato nella Carta di Milano – il documento preparato in occasione dell’Expo del 2015 contenente impegni e responsabilità per cittadini, imprese e istituzioni in tema di cibo e sostenibilità – una cornice strategica, e che hanno visto i Comuni i principali protagonisti, hanno perseguito una saldatura tra le attività delle amministrazioni e quelle della società civile, creando forum e reti per l’elaborazione di principi e di strategie. Le iniziative sullo spreco, sui mercati contadini, sugli standard per le mense scolastiche, sull’educazione alimentare si sono andate coordinando anche a livello istituzionale – si pensi al ruolo dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) – per creare conoscenze condivise e sfruttare competenze già esistenti. Alcuni aspetti, infatti, come i capitolati di appalto per le mense, richiedono notevoli competenze tecniche, di cui i singoli comuni non sempre dispongono; la condivisione dei dati può facilitare la costruzione di indicatori utili al monitoraggio delle politiche e alla raccolta di evidenze sui problemi; la condivisione di infrastrutture logistiche e piattaforme possono ridurre i costi e allargare le dimensioni di mercato per gli agricoltori locali; la costruzione di reti di livello nazionale e internazionale consente di scambiare le esperienze e proporre progetti.
È da auspicare che, attraverso la sperimentazione di iniziative locali e la diffusione dei risultati e delle buone pratiche, si possa agire sui livelli decisionali delle istituzioni superiori, con l’obiettivo finale di introdurre il tema di una Politica Alimentare nell’agenda istituzionale.
Le opportunità per questo salto di qualità ci sono: da una parte il Green Deal, l’insieme delle iniziative proposte dalla Commissione europea per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050, ha introdotto nel dibattito il tema delle politiche alimentari e dell’approccio di sistema, anche se ha visto rallentare la sua azione per opera di rilevanti settori del Parlamento Europeo; dall’altra, le politiche di sviluppo rurale consentono ai comuni delle aree interne di accedere ai finanziamenti di progetti che affrontano queste tematiche. Inoltre, le politiche per la ricerca e l’innovazione hanno aperto importanti linee di finanziamento per la sperimentazione di nuove forme di governance alimentare. In questo percorso andranno superate molte barriere, in gran parte erette dai gruppi di interesse che dalla frammentazione e dalla settorializzazione lucrano con consistenti rendite di posizione.
Gianluca Brunori
Gianluca Brunori è professore ordinario di Politica Alimentare presso l’Università di Pisa. La sua ricerca si concentra sullo sviluppo rurale sostenibile e sulla sostenibilità dei sistemi alimentari, nonché sui relativi processi di innovazione.
«Nowadays people know the price of everything and the value of nothing» (Oggigiorno la gente conosce il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente). Questo celebre aforisma, tratto da Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, ha accompagnato la lettura del volume di Fabio Ciconte, consultato nel contesto della ricerca in corso sulla divaricazione di significato tra il concetto di ‘valore’ e quello di ‘prezzo’, che nelle nostre società a trazione neoliberista hanno preso direzioni diverse e spesso divergenti.
Il volume L’ipocrisia dell’abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo propone un’analisi delle dinamiche globali che intersecano la produzione alimentare, le crisi ambientali e socioeconomiche e le politiche di consumo, svelando le contraddizioni del nostro tempo, dove l’abbondanza apparente si scontra con una realtà di ingiustizia, insostenibilità e – rifacendosi ad un concetto coniato da Edgar Morin – policrisi:
«A questa concomitanza di crisi […] giornalisti e istituzioni internazionali hanno dato un nome, l’hanno chiamata la «tempesta perfetta»: un momento eccezionale in cui cambiamento climatico, pandemia, crisi energetica e, infine, rischio di guerra mondiale si intrecciano in un’unica matassa esplosiva. […] Ognuno di questi elementi, di questi fattori, produce effetti sulla vita delle persone, sull’economia, sugli assetti internazionali, sul costo delle materie prima. E, non ultimo, produce degli effetti sul cibo, sulla sua disponibilità e sul prezzo». (p.5)
Il Libro
L’ipocrisia dell’abbondanza
Perché non compreremo più cibo a basso costo

Autore: Fabio Ciconte
Anno: 2023
Editore: Laterza
Luogo di pubblicazione: Roma-Bari
Ambito di Intervento
Agricoltura e sviluppo del territorio
La recensione contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore: l’idea è che questo concetto debba essere ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.
«È questa la chiave dell’accordo e i numeri lo testimoniano: i cereali non vanno alle persone «nei paesi affamati». La loro destinazione principale sono paesi industrializzati che vogliono continuare ad alimentare un settore zootecnico ipertrofico e in crisi economica. Buona parte dei cereali prodotti e importati in Europa sono destinati ad alimentare gli animali negli allevamenti europei, per la maggior parte intensivi». (p. 34)
Foraggiare la zootecnia europea, quindi, è prioritario rispetto a garantire la sicurezza alimentare per gli esseri umani. Ancora una volta il valore (economico) prende una strada incompatibile con i valori (umani). Ma anche limitandosi ad un approccio meramente economicistico, quale sarebbe il prezzo giusto da pagare per le pietanze che tutti i giorni finiscono sulle nostre tavole?
«Vi siete mai chiesti cosa succederebbe se pagassimo il cibo per quanto davvero vale? Cioè, se all’interno del valore di questo o quel prodotto venissero contabilizzati tutti, ma proprio tutti i costi, tutte le esternalità negative? […] il prezzo giusto del cibo dovrebbe essere almeno il doppio (alcuni sostengono addirittura il triplo). La domanda è, chi può permetterselo?» (pp. 123- 125)
L’autore critica l’attuale modello di produzione e consumo, evidenziando come il costo sottostimato del cibo nasconda i veri impatti sociali e ambientali della produzione alimentare. Viene proposta una soluzione che passa attraverso l’aumento dei salari e del potere d’acquisto, affinché i consumatori possano affrontare il costo reale del cibo, un costo che includa anche le sue esternalità negative (inquinamento, perdita di biodiversità, erosione del suolo, produzione di gas climalteranti, ecc.). Solo così, sostiene l’autore, il cibo potrà essere riconosciuto come parte integrante di una transizione ecologica necessaria.
Ma perché questo accada è necessario che i cittadini conoscano le dinamiche in atto, al di là delle narrazioni mediatiche che troppo spesso tendono a presentare una realtà edulcorata, quando non proprio menzognera. Pensiamo al famoso accordo sul grano che ha sbloccato tonnellate di cereali rimasti ammassati nei porti ucraini a causa del conflitto in corso, le cui finalità non erano quelle che ci sono state presentate dai mezzi di informazione (ossia garantire la sicurezza alimentare a popolazioni africane messe a dura prova dall’interruzione degli approvvigionamenti):
«È questa la chiave dell’accordo e i numeri lo testimoniano: i cereali non vanno alle persone «nei paesi affamati». La loro destinazione principale sono paesi industrializzati che vogliono continuare ad alimentare un settore zootecnico ipertrofico e in crisi economica. Buona parte dei cereali prodotti e importati in Europa sono destinati ad alimentare gli animali negli allevamenti europei, per la maggior parte intensivi». (p. 34)
Foraggiare la zootecnia europea, quindi, è prioritario rispetto a garantire la sicurezza alimentare per gli esseri umani. Ancora una volta il valore (economico) prende una strada incompatibile con i valori (umani). Ma anche limitandosi ad un approccio meramente economicistico, quale sarebbe il prezzo giusto da pagare per le pietanze che tutti i giorni finiscono sulle nostre tavole?
«Vi siete mai chiesti cosa succederebbe se pagassimo il cibo per quanto davvero vale? Cioè, se all’interno del valore di questo o quel prodotto venissero contabilizzati tutti, ma proprio tutti i costi, tutte le esternalità negative? […] il prezzo giusto del cibo dovrebbe essere almeno il doppio (alcuni sostengono addirittura il triplo). La domanda è, chi può permetterselo?» (pp. 123- 125)
Ambito di Intervento
Agricoltura e sviluppo del territorio
La recensione contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore: l’idea è che questo concetto debba essere ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.
La risposta dovrebbe essere: tutti, ma proprio tutti. Ma per essere nelle condizioni di farlo è necessario rendere il cibo, o meglio ancora il diritto all’accesso al cibo, oggetto di contesa politica e culturale, a partire dal tema con cui abbiamo aperto queste brevi note, ossia la ricomposizione della frattura che oggi sembra descrivere la relazione tra valore e prezzo:
«Una crisi che potremo affrontare se sapremo offrire una prospettiva diversa, un nuovo punto di osservazione: non più quello del consumatore solitario (più o meno consapevole) che deve inventare strategie quotidiane di sopravvivenza, ma quello di un cittadino, una cittadina, che fa parte di una collettività, che prende parola per i propri diritti, per rivendicare l’urgenza di accedere a un cibo di qualità, sostenibile, equo, e che chiede di essere messo nella condizione di farlo». (p. 11)
Marco Sbardella
Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS.
Insegna Teorie e Tecniche della Comunicazione all’Università di Firenze.
Gli altri contributi dell’Ambito di Intervento “Agricoltura e sviluppo del territorio”
Il futuro delle nostre comunità? Riparte dalle politiche del cibo. Intervista a Marina Lauri
L’intervista a Marina Lauri – Responsabile Agricoltura, forestazione e politiche della Montagna e delle aree interne di ANCI Toscana – evidenzia il forte potenziale aggregativo delle politiche del cibo: è impossibile occuparsi di questo argomento senza agire – consapevolmente o meno – anche sul sociale, sulla salute, sull’ambiente, sull’inclusione, sull’educazione, sulle politiche del lavoro.
Dove sono le politiche del cibo?
Da diversi anni si rileva una crescente attenzione nei confronti del cibo. Esso è un elemento centrale della nostra salute, un fattore di benessere psicofisico, un medium di socialità. Ma chi ne stabilisce le politiche a livello locale, nazionale ed europeo?
Salute e sanità
Verso una medicina del lavoro organica sui territori
Intervista a Giovanna Bianco
di Eugenio Pandolfini | 04 11 2024
Di cosa parliamo in questo articolo?
L’intervista all’ingegnere Giovanna Bianco offre uno sguardo approfondito sulla situazione della medicina del lavoro in Toscana. Confrontandosi con le sfide di questo ambito della nostra sanità, la Responsabile del settore Prevenzione e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro di Regione Toscana ricostruisce il quadro di alcune delle criticità del sistema della prevenzione, della sorveglianza e della cura del lavoratore, esplorando quei territori complessi, nei quali il sistema delle istituzioni e delle professioni della salute di ambito pubblico e privato (costituito dai medici del lavoro, dai medici di medicina generale e dai medici specialisti) incontra il mondo dei lavoratori e dei cittadini.
E presenta alcune delle strategie adottate per affrontare la frammentazione, che è tipica di tutto il Sistema Sanitario, e migliorare l’efficacia dei servizi di medicina del lavoro, mettendo a fuoco i temi della formazione professionale, della sensibilizzazione della cittadinanza, dell’importanza della sorveglianza sanitaria. Dell’importanza, insomma, di un costante impegno per rispondere ad una crisi – economica? Di valori? – sempre più cronica nel Sistema Sanitario pubblico. Dell’importanza che una comunicazione equilibrata ed efficace ricopre quando è necessario sensibilizzare senza generare il panico, prevenire senza allarmare, informare senza dare niente per scontato.
Ambito di Intervento
Salute e sanità
Il Centro Ricerche sAu è da anni impegnato nella realizzazione di progetti incentrati sul coinvolgimento di portatori d’interesse con lo scopo di avviare processi generativi di conoscenza in cui aziende sanitarie e ospedaliere, associazioni, istituzioni cooperino per aumentare il livello di health literacy della cittadinanza in campo medico-scientifico. Con un focus sulla medicina del lavoro.
Sempre più spesso il concetto di medicina del lavoro viene avvicinato a quello di crisi. A parte i numeri dei malati e dei morti sul lavoro, gli esperti, i saggi, gli articoli su riviste di settore riportano tra le motivazioni di questa situazione le incongruenze negli apparati normativi, i veloci cambiamenti nel mondo del lavoro, le difficoltà che sperimentano i medici del lavoro, la mancanza di consapevolezza dei lavoratori, la frammentazione del sistema sanitario e, non ultima, la crisi economica che – di fronte alla difesa del salario e degli altri diritti – fa perdere di vista l’importanza della salute quando si parla di mestieri e professioni. Qual è la situazione in Toscana?
Ho iniziato a lavorare nel settore prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro da gennaio 2020 e ho capito che la frammentazione era tra le prime questioni che avrei dovuto affrontare. Al mio arrivo ho trovato vari gruppi di lavoro tematici fra la Regione e le Aziende Sanitarie: ad esempio, un gruppo sull’edilizia, uno sull’agricoltura, che sono i settori a maggior rischio di infortuni. Mancava però un gruppo costituito dai medici del lavoro che fosse trasversale alle Aziende, per un confronto sull’erogazione dei servizi a livello toscano. Per questo abbiamo costituito il gruppo RISAL, abbreviazione di ‘RIschi per la Salute’, composto da rappresentanti dei medici del lavoro delle tre Aziende Sanitarie toscane di area vasta (Toscana Nord Ovest, Toscana Centro, Toscana Sud Est). Questo gruppo ha dato vita a una serie di buone pratiche per omogeneizzare la sorveglianza sanitaria sul territorio.
Ad esempio, sono state sistematizzate tutte le attività svolte dai servizi toscani di medicina del lavoro. Con una Delibera Regionale ad hoc (metà 2022), abbiamo tabellato tutte le attività disponibili, in modo che le tre Aziende offrano gli stessi servizi a tutti i cittadini della Regione.
Parallelamente, è stato individuato un codice di esenzione per rendere gratuito l’accesso ai principali programmi di sorveglianza sanitaria. Fino al giugno 2022, la sorveglianza sanitaria era gratuita solo per gli ex-esposti ad amianto: ora abbiamo reso possibile l’accesso a tutte le visite di sorveglianza sanitaria, che rientrano nei piani regionali di prevenzione, e stiamo utilizzando per il loro finanziamento, per la prima volta, il cosiddetto fondo sanzioni, previsto dal Decreto Legislativo 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza). Il fondo si alimenta con i proventi delle sanzioni comminate nei luoghi di lavoro che devono essere re-investiti in prevenzione. Tutto questo, insieme alle azioni per rendere accessibili i servizi di medicina del lavoro, è stato oggetto di corsi di formazione specifici, che abbiamo avviato per tutti i medici del lavoro, compresi quelli che lavorano nell’ambito del privato.
In questo modo, il mondo privato può appoggiarsi a queste pratiche e i medici competenti che operano in tale settore possono informare i lavoratori delle aziende in maniera uniforme al sistema pubblico. Sempre nella direzione di promuovere un approccio organico alla gestione della medicina del lavoro, la Regione Toscana ha recentemente finanziato l’Osservatorio regionale del Centro di riferimento regionale per l’analisi dei flussi informativi su Infortuni e Malattie professionali o da lavoro (Osservatorio CeRIMP). Questo osservatorio sarà disponibile tramite un portale online e pubblicherà dati su infortuni e malattie professionali, elaborati in modo semplice e leggibile, utilizzando i dati dell’INAIL. Questi dati saranno accessibili a tutti, incluso il dettaglio a livello comunale, promuovendo così la trasparenza. L’accesso al portale sarà organizzato su due livelli: un livello pubblico, per tutti i cittadini, e un livello riservato, accessibile tramite password, per i servizi delle Aziende Sanitarie, dal quale sarà possibile visualizzare i dati non aggregati per analisi più dettagliate. Questa iniziativa è simile a quella già attuata in Emilia Romagna con l’Osservatorio Regionale di monitoraggio degli Infortuni e delle malattie professionali o correlate con il Lavoro (OReIL). Cosa che sembra indicare come la necessità di fare sistema sia sempre più sentita a livello nazionale.
Progetto
Master in Comunicazione Medico-Scientifica e dei Servizi Sanitari
Il Master consulenziale realizzato dal Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Ricerche sAu realizza progetti di ricerca-azione sulla Comunicazione Generativa che migliorano la relazione medico-pazienti-servizi, avviano processi di sensibilizzazione, garantiscono il coinvolgimento dei portatori d’interesse nelle progettualità.
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Ad esempio, sono state sistematizzate tutte le attività svolte dai servizi toscani di medicina del lavoro. Con una Delibera Regionale ad hoc (metà 2022), abbiamo tabellato tutte le attività disponibili, in modo che le tre Aziende offrano gli stessi servizi a tutti i cittadini della Regione.
Parallelamente, è stato individuato un codice di esenzione per rendere gratuito l’accesso ai principali programmi di sorveglianza sanitaria. Fino al giugno 2022, la sorveglianza sanitaria era gratuita solo per gli ex-esposti ad amianto: ora abbiamo reso possibile l’accesso a tutte le visite di sorveglianza sanitaria, che rientrano nei piani regionali di prevenzione, e stiamo utilizzando per il loro finanziamento, per la prima volta, il cosiddetto fondo sanzioni, previsto dal Decreto Legislativo 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza). Il fondo si alimenta con i proventi delle sanzioni comminate nei luoghi di lavoro che devono essere re-investiti in prevenzione. Tutto questo, insieme alle azioni per rendere accessibili i servizi di medicina del lavoro, è stato oggetto di corsi di formazione specifici, che abbiamo avviato per tutti i medici del lavoro, compresi quelli che lavorano nell’ambito del privato.
In questo modo, il mondo privato può appoggiarsi a queste pratiche e i medici competenti che operano in tale settore possono informare i lavoratori delle aziende in maniera uniforme al sistema pubblico. Sempre nella direzione di
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Master in Comunicazione Medico-Scientifica e dei Servizi Sanitari
Il Master consulenziale realizzato dal Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Ricerche sAu realizza progetti di ricerca-azione sulla Comunicazione Generativa che migliorano la relazione medico-pazienti-servizi, avviano processi di sensibilizzazione, garantiscono il coinvolgimento dei portatori d’interesse nelle progettualità.
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promuovere un approccio organico alla gestione della medicina del lavoro, la Regione Toscana ha recentemente finanziato l’Osservatorio regionale del Centro di riferimento regionale per l’analisi dei flussi informativi su Infortuni e Malattie professionali o da lavoro (Osservatorio CeRIMP). Questo osservatorio sarà disponibile tramite un portale online e pubblicherà dati su infortuni e malattie professionali, elaborati in modo semplice e leggibile, utilizzando i dati dell’INAIL. Questi dati saranno accessibili a tutti, incluso il dettaglio a livello comunale, promuovendo così la trasparenza. L’accesso al portale sarà organizzato su due livelli: un livello pubblico, per tutti i cittadini, e un livello riservato, accessibile tramite password, per i servizi delle Aziende Sanitarie, dal quale sarà possibile visualizzare i dati non aggregati per analisi più dettagliate. Questa iniziativa è simile a quella già attuata in Emilia Romagna con l’Osservatorio Regionale di monitoraggio degli Infortuni e delle malattie professionali o correlate con il Lavoro (OReIL). Cosa che sembra indicare come la necessità di fare sistema sia sempre più sentita a livello nazionale.
Chi è il medico del lavoro?
Secondo me è una persona che ha una vocazione. La professione del medico del lavoro sconta più di altre la crisi che sta attraversando il sistema sanitario pubblico: ci sono sempre meno fondi e un’Azienda Sanitaria, se deve fare tagli, taglia sulla prevenzione anziché sull’emergenza o l’urgenza. Se si deve ridurre il personale, non si riduce certo il numero di chi lavora al pronto soccorso, ma chi si occupa di prevenzione. Se si deve scegliere tra avere un medico del lavoro in meno o un chirurgo in meno, la scelta è scontata.
Purtroppo, la prevenzione è un po’ la cenerentola della medicina.
Cosa si può fare per superare questa criticità?
Io penso che si debba cominciare proprio dall’origine, cioè dal sistema della formazione: come funziona l’accesso alla facoltà di medicina?
Le modalità attuali di selezione, come i test di ingresso, possono scoraggiare molti ragazzi che vorrebbero intraprendere questa carriera. Forse anche le modalità di ammissione, con numeri chiusi così rigidi, non avvicinano i giovani a questo campo. E forse è arrivato il momento di cambiare.
Per quanto riguarda la medicina del lavoro, inoltre, c’è una forte competizione nel settore privato perché – come accade anche per altri settori – il professionista aziendale (in questo caso il medico competente aziendale) è pagato più del suo corrispondente di ambito pubblico. E questo è un motivo di preferenza importante.
Un maggior afflusso di professionisti in questo settore costituirebbe una base dalla quale partire per riportare il servizio pubblico in equilibrio.
Il rapporto con i medici del lavoro di ambito privato costituisce una criticità per il Sistema Sanitario regionale?
La criticità che ho rilevato riguardava essenzialmente la poca collaborazione tra i medici del lavoro afferenti al sistema pubblico e quelli afferenti al mondo privato. E su questa criticità stiamo lavorando. Siamo riusciti a far passare il messaggio che è nell’interesse di tutti collaborare. Anche il medico competente dell’azienda privata è soggetto a sanzioni, se non rispetta le normative. Mettere insieme ispettori e coloro che possono essere oggetto di ispezione non è semplice, ma è fondamentale per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro. E se vengono presentate buone pratiche di sorveglianza sanitaria per migliorare la sicurezza sul lavoro, dovrebbe essere nell’interesse di tutti adottarle.
Restando nell’ambito del contrasto alla frammentazione del sistema, anche la transdisciplinarità – intesa come integrazione di studi, ricerche e pratiche – è un importante aspetto di questo approccio. Spesso, tuttavia, la transdisciplinarità è intesa come la somma di competenze diverse e non come una sinergia che porta a rimettere in discussione il modus operandi a tutto tondo.
Qual è il suo punto di vista su questo tema?
La sinergia è stata proprio l’obiettivo che ci siamo dati. Come prima cosa, come ho già anticipato, abbiamo creato il gruppo RISAL, proprio per costruire sinergie tra i medici del lavoro attivi presso le tre Aziende Sanitarie. Successivamente, abbiamo avviato percorsi di formazione per stabilire relazioni con i medici competenti del settore privato.
Un altro aspetto importantissimo è stato individuare degli alleati tra i medici di medicina generale, che hanno competenze diverse, ma sono fondamentali a livello di sistema, per costruire una rete informativa che coinvolga tutti i professionisti di questo settore.
Gli altri contributi dell’Ambito
Comunicare i tumori professionali: qualche spunto di riflessione
di Lucia Miligi
L’articolo esamina l’impatto dei tumori professionali sulle persone, sottolineando l’importanza della comunicazione dei rischi legati all’esposizione ad agenti cancerogeni sul luogo di lavoro. Nonostante la consapevolezza diffusa su alcuni fattori di rischio, altri agenti sono meno noti e il rischio di esposizione non consapevole aumenta, alimentando comportamenti dannosi per la salute.
Come monitorate i risultati del lavoro che avete fatto?
Stiamo avviando il monitoraggio dei risultati del lavoro svolto proprio in questo momento. La delibera che ha avviato tutti i cambiamenti di cui stiamo parlando è di metà del 2022: è passato un anno e mezzo e stiamo andando a regime ora. Questo perché la rendicontazione delle attività, anche dal punto di vista finanziario, avviene nei primi mesi dell’anno successivo a quello nel quale si sono svolte. Attualmente, stiamo valutando il 2023: si procede all’analisi dei codici di esenzione che sono stati utilizzati e, in base ai codici, si valuta quanti servizi sono stati effettuati, cioè quante persone hanno effettivamente usufruito del Servizio Sanitario per questioni legate alla medicina del lavoro, e su quali patologie.
Cosa indica il codice di esenzione?
Il codice di esenzione indica una prestazione sanitaria su una specifica patologia correlata al lavoro. Fino a poco tempo fa, i servizi di medicina del lavoro erano concentrati sugli ex esposti ad amianto e non c’era uniformità sul territorio. Alcuni ambulatori offrivano solo visite per gli ex esposti ad amianto, pochi ambulatori anche altri servizi. Ad esempio, le visite per lo stress lavoro correlato venivano principalmente effettuate presso l’ospedale di Pisa.
Con la delibera che ho già ricordato, abbiamo stabilito che i servizi di medicina del lavoro, ovunque siano in Toscana, devono offrire tutte le prestazioni disponibili, creando così una rete più capillare sul territorio.
E anche una rete attiva per la sorveglianza sanitaria, che raccoglie da tutta la regione – attraverso i codici utilizzati per l’accesso ai servizi – i dati relativi alle malattie correlate al lavoro.
L’Accordo di collaborazione tra Gruppo dell’Accademia del Cittadino della Regione Toscana (GART), Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, Centro di documentazione sull’amianto Marco Vettori nasce per supportare la sorveglianza sanitaria di ex esposti a cancerogeni professionali, coinvolgendo le associazioni e i corpi intermedi nelle attività della Regione Toscana.
Qual è il suo punto di vista sul ruolo del terzo settore nelle attività di comunicazione tra le istituzioni, il mondo della ricerca (scientia) e il mondo delle professioni, del lavoro, dell’impresa, dei cittadini (usus)?
Il mondo del Terzo Settore ha un ruolo fondamentale: le associazioni e i corpi intermedi sono gli strumenti attraverso i quali raggiungere e informare i lavoratori.
Questo accordo è stato approvato con Delibera ed è stato sottoscritto inizialmente con le organizzazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL), l’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL), il Gruppo dell’Accademia del Cittadino della Regione Toscana (GART) e il Centro di Documentazione sull’Amianto Marco Vettori. In questo accordo è entrato anche il Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS, che affiancherà la Regione proprio per impostare correttamente le attività di informazione e svolgere una corretta attività di comunicazione verso tutti i lavoratori. Sottolineo questo aspetto perché, quando si parla di malattie professionali, si tratta spesso di patologie gravi, croniche, che generano preoccupazione e paura e che trattengono le persone dal rivolgersi ai servizi sanitari per avviare i necessari percorsi d’indagine. Per questo, bisogna stare molto attenti a non creare allarmismi e paure nei lavoratori e, da loro, nella cittadinanza tutta con una comunicazione troppo diretta o non equilibrata.
A tal fine, tutti i sottoscrittori dell’accordo saranno periodicamente invitati a degli incontri in cui saranno condivise le informazioni aggiornate e si cercherà insieme di stabilire strategie per la loro migliore comunicazione ai portatori d’interesse.
A che livello è opportuno coinvolgere la cittadinanza per le attività di prevenzione e sorveglianza sanitaria?
Sono già attivi dei filoni di attività relativi ad azioni di prevenzione nell’ambito del lavoro che sono comunicate a cerchie di portatori d’interesse più estese dei lavoratori in senso stretto. Ma stiamo ancora riflettendo su come coinvolgere tutta la cittadinanza in maniera capillare e non abbiamo ancora attività specifiche in tal senso. Il tema dell’alfabetizzazione è fondamentale: la cittadinanza sa poco o nulla del sistema della medicina del lavoro e di tutti i servizi esistenti. Dovremmo avviare dei percorsi di formazione per presentare alla cittadinanza informazioni chiare sul funzionamento del sistema, a partire da chi si occupa di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Spesso il cittadino o la cittadina non sa che sono principalmente le Aziende Sanitarie e i servizi Prevenzione Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro (PISLL) delle stesse Aziende ad avere in carico le funzioni di controllo, vigilanza e di promozione della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, con l’obiettivo di contribuire alla prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro e al miglioramento del benessere del lavoratore.
Con Fausto Bertinotti parliamo di come sia necessario ridare dignità, rappresentanza politica e forza sociale ai lavoratori per interrompere una spirale regressiva in termini politici, sociali ed economici, che ha preso il via nei primi anni ‘80 del Novecento e nella quale siamo tuttora immersi. Perché i numeri inquietanti di morti e infortuni sul lavoro, nonché di malattie professionali, sono il risultato di un processo storico ha invertito la dinamica del conflitto di classe, con una reazione organizzata e estremamente efficace del padronato.
A che livello è opportuno coinvolgere la cittadinanza per le attività di prevenzione e sorveglianza sanitaria?
Sono già attivi dei filoni di attività relativi ad azioni di prevenzione nell’ambito del lavoro che sono comunicate a cerchie di portatori d’interesse più estese dei lavoratori in senso
stretto. Ma stiamo ancora riflettendo su come coinvolgere tutta la cittadinanza in maniera capillare e non abbiamo ancora attività specifiche in tal senso. Il tema dell’alfabetizzazione è fondamentale: la cittadinanza sa poco o nulla del sistema della medicina del lavoro e di tutti i servizi esistenti. Dovremmo avviare dei percorsi di formazione per presentare alla cittadinanza informazioni chiare sul funzionamento del sistema, a partire da chi si occupa di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Spesso il cittadino o la cittadina non sa che sono principalmente le Aziende Sanitarie e i servizi Prevenzione Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro (PISLL) delle stesse Aziende ad avere in carico le funzioni di controllo, vigilanza e di promozione della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, con l’obiettivo di contribuire alla prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro e al miglioramento del benessere del lavoratore.
Con Fausto Bertinotti parliamo di come sia necessario ridare dignità, rappresentanza politica e forza sociale ai lavoratori per interrompere una spirale regressiva in termini politici, sociali ed economici, che ha preso il via nei primi anni ‘80 del Novecento e nella quale siamo tuttora immersi. Perché i numeri inquietanti di morti e infortuni sul lavoro, nonché di malattie professionali, sono il risultato di un processo storico ha invertito la dinamica del conflitto di classe, con una reazione organizzata e estremamente efficace del padronato.
Per non parlare della consapevolezza su cosa effettivamente succeda nel mondo del lavoro e su quali siano le questioni da tenere sotto controllo. Forse c’è consapevolezza sugli infortuni, perché gli effetti sono immediati e visibili, ma sulle malattie professionali la cittadinanza è veramente poco informata. Fattori di rischio come le polveri di legno o come il sole sono difficili da far capire, perché molti non comprendono come materiali naturali o addirittura la radiazione solare possano essere cancerogeni per i lavoratori. Con il risultato che molti muratori o, in generale, lavoratori outdoor, ancora oggi, non si rendono conto dei danni alla pelle e della disidratazione causati dal lavoro all’aperto. In questa prospettiva, abbiamo avviato delle attività rivolte alle scuole. Crediamo che la cultura della sicurezza debba partire dai giovani e siamo convinti che le informazioni diffuse a scuola possano arrivare anche alle famiglie attraverso i ragazzi. Svolgiamo due tipi di attività con le scuole. Una è rivolta agli insegnanti, che seguono percorsi di alternanza scuola-lavoro, e l’altra è mirata agli studenti. Nel 2022 abbiamo lanciato un bando di concorso per progetti sulla sicurezza sul lavoro – ad esempio fumetti, video o giochi a tema sicurezza realizzati dagli studenti – che verranno premiati alla fine di quest’anno scolastico. Un altro mezzo di diffusione dell’informazione che sta funzionando, ma che è rivolto comunque ai lavoratori (e non alla cittadinanza in generale), è la nostra rete regionale dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). Queste figure – obbligatorie nelle aziende con più di 15 dipendenti ed elette direttamente dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali – hanno il compito di monitorare l’applicazione delle norme di sicurezza, di segnalare eventuali situazioni di rischio e di collaborare con l’azienda per la predisposizione delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. Questo progetto esiste da diversi anni e conta circa 1.800 rappresentanti iscritti alla rete, anche se in Toscana potrebbero essercene molti di più: la rete offre formazione e aggiornamenti periodici agli RLS attraverso tre seminari territoriali annuali e un seminario regionale alla fine dell’anno. Ad esempio, l’anno scorso il tema dei seminari rivolti agli RLS è stata la prevenzione delle malattie professionali.
In conclusione: sinergia e in-formazione al centro
Le parole di Giovanna Bianco evidenziano l’importanza cruciale della formazione, sia per i professionisti della salute che per i lavoratori e i cittadini. Dal punto di vista dei professionisti della salute, come i medici del lavoro e i medici di medicina generale, la formazione continua rappresenta il fondamento per garantire una corretta valutazione dei rischi e una tempestiva identificazione delle malattie professionali. Nel caso dei medici di medicina generale, con l’importante valore aggiunto della conoscenza approfondita della persona assistita, del suo lavoro, che potrebbe risultare strategica sia per quanto riguarda la prevenzione, sia per quanto riguardo la diagnosi tempestiva.
Investire nelle competenze di questi operatori significa potenziare la capacità del sistema sanitario di prevenire e gestire efficacemente le patologie professionali, assicurando una migliore tutela della salute dei lavoratori.
Dall’altro lato, è essenziale promuovere una maggior alfabetizzazione e consapevolezza sulle questioni che legano salute e lavoro tra i lavoratori e i cittadini stessi. Una conoscenza di base sulle normative di sicurezza sul lavoro, sui rischi associati a determinate attività e sull’importanza della prevenzione può contribuire in maniera sostanziale a ridurre gli incidenti e le malattie professionali. Inoltre, informare i cittadini sul funzionamento del sistema sanitario, sui servizi disponibili e sui diritti in materia di salute consentirebbe a tutti di essere attori consapevoli nella gestione della propria sicurezza e benessere sul luogo di lavoro.
Solo una comunicazione capace di mettersi in ascolto di tutti gli attori coinvolti – delle istituzioni, per raccogliere, analizzare e riportare in termini operativi gli indirizzi strategici; dei professionisti della salute, per individuare i temi sui quali scommettere per la comunicazione e tradurre gli aspetti più tecnici in messaggi comprensibili da tutti; dei lavoratori e dei cittadini, per comprendere gli effettivi bisogni di conoscenza – può essere efficace per promuovere percorsi specifici di in-formazione e sensibilizzazione, senza dare adito ad allarmismi controproducenti e per aiutare la costruzione progressiva di un sistema di medicina del lavoro più organico ai diversi contesti di riferimento (istituzioni, salute e servizi sanitari, lavoro e professioni, cittadinanza).
Autore
Eugenio Pandolfini
Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS. Dal 2019 è ricercatore a tempo Determinato di tipo A del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze. Porta avanti attività di ricerca centrate sulla relazione tra tecnologie, territorio e paesaggio, tocco umano.
Intervistata
Giovanna Bianco